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Ora, quando guardo un prato o un campo coltivato, non vedo più solo “terra”. Vedo una comunità invisibile che lavora per l’equilibrio del pianeta. E penso che ogni scelta – anche quella di chi non è agricoltore – può fare la differenza. Basta iniziare a vedere il suolo per quello che è: vita.


Il suolo non è solo “terra”. È un sistema vivo, dinamico, che respira, si nutre, cambia. Prima di partecipare al progetto Soil reGeneration, pensavo che fosse qualcosa di statico, quasi morto. Ma ho scoperto che sotto la superficie si nasconde una rete complessa e vitale, fatta di organismi, scambi e trasformazioni.

Uno dei concetti che più mi ha colpito è stato quello di biodiversità del suolo. In pochi centimetri di terra possono vivere milioni di microrganismi: batteri, funghi, nematodi, piccoli insetti. Alcuni collaborano con le radici delle piante, aiutandole ad assorbire meglio acqua e nutrienti. Altri decompongono la materia organica, restituendo al terreno elementi essenziali.

Un suolo ricco di vita è anche più resistente: assorbe meglio l’acqua, evita l’erosione e aiuta a sequestrare il carbonio atmosferico. In poche parole, è un alleato silenzioso nella lotta contro il cambiamento climatico. Ma questa ricchezza è minacciata da pratiche agricole intensive, inquinamento e consumo di suolo.

Conoscere questi meccanismi mi ha fatto capire che il suolo non è una risorsa infinita. È qualcosa che va curato, rispettato, rigenerato. Ora, quando guardo un prato o un campo coltivato, non vedo più solo “terra”. Vedo una comunità invisibile che lavora per l’equilibrio del pianeta. E penso che ogni scelta – anche quella di chi non è agricoltore – può fare la differenza. Basta iniziare a vedere il suolo per quello che è: vita.

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